La Voce
del
(nuovo)Partito comunista italiano
Lettera a La Voce
7. Quale organizzazione
sindacale?
Pubblichiamo questa lettera e facciamo nostra
la richiesta del compagno. Quanto alle argomentazioni, chiediamo anche noi ai
nostri lettori di mobilitare tutta l’esperienza e la conoscenza che hanno nel
campo, per arrivare a una linea di marcia comune e giusta. Ci assumiamo la
nostra parte.
La redazione
Cari compagni,
noi abbiamo oramai una serie di indicazioni
giuste per svolgere il nostro ruolo nella lotta che i lavoratori delle medie e
grandi fabbriche condurranno per difendere le loro conquiste dall’attacco che
con il loro nuovo governo i padroni faranno con arroganza e ingordigia
centuplicata. Non sto a ripeterle. Ci manca però ancora una linea in fatto di
organizzazione. Penso che dobbiamo trovarla, definirla e verificarla. La mia è
una proposta per iniziare almeno la ricerca.
Per quanto io ne ho finora capito, penso che da
una parte dovremmo creare organismi che riuniscano tutti quei lavoratori che
condividono e vogliono far valere le nostre parole d’ordine per le lotte
rivendicative e d’altra parte che dovremmo far parte delle organizzazioni
sindacali a cui è iscritta la massa dei lavoratori, lottare perché la
maggioranza dei lavoratori condivida le nostre parole d’ordine, per far valere
nelle organizzazioni sindacali (quindi contro l’aristocrazia operaia succube
del padrone) la volontà della maggioranza dei lavoratori (beninteso la volontà
di oggi, che noi cercheremo sia la più avanzata e più giusta possibile, non la
volontà di domani che noi siamo sicuri sarà ispirata al comunismo, ma che oggi
è ancora solo in germe) e per prendere la direzione delle organizzazioni
sindacali cui appartiene la massa dei lavoratori.
Che i comunisti non possono prendere la
direzione delle grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori, che è
impossibile che i comunisti eliminino la direzione che la borghesia
imperialista esercita su di esse tramite l’aristocrazia operaia, è solo uno dei
miti generati dalla subordinazione ideologica alla borghesia e uno dei temi
della sua propaganda disfattista. L’esperienza storica dice il contrario. Il
primo partito comunista italiano riuscì in definitiva a prendere la direzione
delle grandi sindacati delle masse. Così è avvenuto anche in altri paesi: in
Francia, in Spagna e altrove. Perfino negli USA il partito comunista, prima di
cadere in mano ai revisionisti, aveva raggiunto una grande forza nei sindacati
che pure erano (più che in ogni altro paese) controllati dal governo, dalla
malavita organizzata e da altri organi della controrivoluzione preventiva. Del
resto è assurdo pensare che arriveremo ad avere con noi la massa della
popolazione nella rivoluzione socialista e non riusciremo ad avere con noi la
massa dei lavoratori nelle lotte rivendicative.
Certo, la borghesia imperialista ha bisogno di
dirigere le grandi organizzazioni sindacali. Ma per la loro natura, le grandi
organizzazioni sindacali hanno bisogno di adesione, consenso e partecipazione
delle masse anche per adempiere quel ruolo di cui la borghesia ha bisogno.
Questo è il tallone d’Achille della direzione della borghesia imperialista.
L’aristocrazia operaia è sorta come mediazione tra la direzione della borghesia
e la partecipazione delle masse e personifica questa mediazione.
È vero che l’esperienza degli ultimi vent’anni
pare darmi torto. Ma è solo un’apparenza. La verità è che i comunisti oggi non
hanno la direzione né dei grandi sindacati né dei piccoli sindacati nati per
scissione dai grandi. Questi si sono formati sì, spesso, per iniziativa di
compagni, ma facciamo un bilancio del loro ruolo reale alla luce delle nostre concezioni.
I punti a loro favore sono 1. che la direzione, in generale, non è legata a
doppio filo alla borghesia, come avviene per i grandi sindacati di massa e 2.
che hanno meno remore a sostenere rivendicazioni economiche e normative. Ma
come scuola di comunismo non sono meglio degli altri e, se consideriamo la
lotta economica tra le classi, non incidono più che tanto. Nella maggior parte
dei casi che si conoscono, io credo in tutti, la costituzione di sindacati a
parte non è servita a concentrare le forze per dare battaglia ed eliminare la
direzione esercitata dalla borghesia imperialista tramite la aristocrazia
operaia sulle grandi organizzazioni sindacali. Costituendo piccoli sindacati
separati si sono sterilizzati una parte combattiva dei lavoratori (sterilizzazione
che solo gli opportunisti ritengono compensata adeguatamente dai vantaggi
immediati che, nei casi migliori, i piccoli sindacati hanno strappato, dalla
tutela che hanno dato ai lavoratori di alcuni mestieri e di alcune categorie)
ai fini della lotta per conquistare la direzione delle grandi organizzazioni
sindacali e si è lasciato campo libero alla borghesia imperialista (e alla
aristocrazia operaia) per dirigere, corrompere e ridurre (liquidare) le grandi
organizzazioni sindacali. In questo senso, i piccoli sindacati anche quelli che
si proclamano contrari al corporativismo, sono nella pratica, di fatto, più
corporativi di quei grandi sindacati che professano il corporativismo.
A me pare che nel nostro paese l’aristocrazia
operaia asservita alla borghesia ha avuto gioco facile nei grandi sindacati
perché la lotta dei comunisti è stata minata da un fattore di debolezza che la
rendeva una battaglia persa in partenza.
Quella lotta è stata condotta senza lo strumento
indispensabile costituito dalla direzione di un vero partito comunista. Non è
una questione formale o magica. È una questione di forza materiale e morale, di
conoscenze e di risorse, di capacità di durare nel tempo e di legami. Comunisti
isolati e incerti, spesso addrittura singoli individui, hanno lottato in ordine
sparso contro una sperimentata aristocrazia operaia che aveva alle sue spalle
la borghesia imperialista. Ovvio che hanno perso. La stessa concezione che li
portava a voler fare un sindacato di classe senza partito, era in definitiva
una concezione corporativa e anarco-sindacalista e li portò verso la secessione
dei lavoratori e la costituzione di sindacati a parte. “Se non riusciamo a
convincere i nostri compagni, ce ne andiamo per conto nostro”. Ma senza una
certa unità, la lotta sindacale perde forza, viene meno al suo ruolo di scuola
di comunismo e nel migliore dei casi degenera in lotta corporativa. Il
sindacato non è il partito. Io credo che proprio quei compagni che in una certa
misura condividono le nostre concezioni e che partecipano attivamente ai lavori
dei sindacati scissionisti, potranno confermare quello che dico. I comunisti
riusciranno a condurre una lotta vittoriosa contro l’aristocrazia operaia e la
borghesia imperialista, che è retroterra e riserva della aristocrazia operaia,
solo se essi stessi saranno uniti in un vero partito comunista. La sua
direzione è indispensabile perché essi riescano ad attingere veramente alla
loro riserva strategica. Questa è costituita dall’esperienza pratica delle
masse. Senza questi due fattori (direzione del partito comunista, mobilitazione
dell’esperienza pratica delle masse) la lotta dei comunisti per prendere la
direzione delle grandi organizzazioni sindacali è una battaglia persa.
Non pretendo di concludere il discorso. Chiedo
che venga aperto. Che si esamini il problema. Perché è certo che dobbiamo avere
anche una linea organizzativa in campo sindacale, specifica per le lotte
rivendicative.
Spero che ospiterete questa mia lettera e vi auguro buon lavoro.
Francesco (Bologna)