Indice della letteratura comunista
Capitolo 3
Abbiamo detto che chi non fa autocritica sugli errori del
passato, non è nemmeno in grado di sfruttare i risultati raggiunti.
Ma quali sono i risultati raggiunti?
La soluzione della crisi del movimento rivoluzionario, come
abbiamo già detto, si pone come soluzione del problema dello sviluppo
qualitativo del movimento rivoluzionario, come conferma della scoperta della via
alla rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, come soluzione del problema
della costituzione del movimento rivoluzionario in partito.
Questo problema può quindi essere posto e risolto solo sulla
base del bilancio dell'esperienza storica del movimento proletario della fase
imperialista, dell'analisi della situazione oggettiva e dell'analisi della
situazione soggettiva, ma a condizione che questa sia a sua volta condotta sulla
base della prima.
La «propaganda armata» è stata solo l'inizio della rinascita
del movimento rivoluzionario. Non è bastata e non poteva bastare a determinarne
lo sviluppo. Essa però ha posto le basi per la costituzione del partito
comunista ed ha aperto la via.
Lo sviluppo della lotta armata negli anni 70 e in particolare la creazione e l'attività delle bande hanno cambiato la situazione politica italiana. Perchè, in che senso e in quale misura? Quale è stata la scoperta cui ha portato l'attività delle bande?
Anche i risultati raggiunti vanno misurati sulla società, non
sugli obiettivi e sulle idee dei protagonisti.
Non importa che la lotta armata sia stata fin dall'inizio un
progetto: in alcuni suoi promotori lo è stata, in altri no. Probabilmente pochi
tra i promotori delle bande avevano previsto grosso modo l'andamento che le cose
hanno avuto, anche se non era imprevedibile. Nella lotta armata sono confluite
diverse componenti, diverse spinte e diverse origini: era un segno della sua
forza, anche se a lungo andare l'eterogeneità, restando tale, è diventata un
elemento di debolezza. Quello che importa è cosa ha prodotto la lotta armata
nella società italiana e che ruolo avrà nel futuro della nostra società quello
che la lotta armata ha seminato. Questo criterio vale nel bilancio di ogni
movimento; a posteriori, non resta traccia di quello che il movimento pensava di
sé, resta quello che ha prodotto nella società.
Facciamo un esempio. Quando abbiamo promosso la campagna di
primavera del 1978 ed effettuato il sequestro di Moro e la sua esecuzione,
potevamo o no esserci proposti, più o meno chiaramente, di mandare a monte il
«compromesso storico», il progetto di nuova maggioranza governativa, la
maggioranza di «solidarietà nazionale».
Ciò non cambia assolutamente nulla al fatto che questo fu il
risultato della nostra azione e oggi il rapimento Moro va valutato per questo
risultato, non per le intenzioni degli autori.
Ancora: potevamo o no aver contato sulle contraddizioni che a
proposito della «solidarietà nazionale» laceravano la borghesia italiana, i
gruppi imperialisti di altri paesi e l'apparato statale italiano; questo non
toglie nulla al fatto che quelle contraddizioni favorirono oggettivamente la
nostra azione. Sono ridicoli quelli che oggi si affannano a mettere in luce
quanti borghesi ce l'avevano con Moro per concludere che quindi le bande furono
agenti di questi; altrettanto ridicoli quelli che si affannano a negare le
convergenze obiettive e il concorso. Ma cosa vuol dire la tesi "sfruttare e
allargare le contraddizioni in campo nemico" se non questo? L'operazione Moro è
stata un esempio brillante, da manuale, di cosa significa, nella vita reale e
nella guerra, sfruttare e allargare le contraddizioni in campo nemico. Tale è
stato l'allargamento, che i suoi effetti si vedono ancora adesso:
l'impossibilità dei partiti e dei gruppi borghesi di trovare uno stabile
rapporto tra loro, la diffidenza tra essi e il fatto che ognuno di essi conta
solo su sè, l'accentuarsi dello scontro militare e all'ultimo sangue tra gruppi
borghesi, guerra di mafia compresa. E di più se ne vedranno se l'attività delle
bande riprenderà al livello necessario oggi (in questo aveva ragione Moro quando
diceva che dalla sua morte sarebbe venuta rovina per i suoi compari!).
Quello che si deve chiarire è se il risultato (liquidazione
della linea della «solidarietà nazionale») corrispose o no agli interessi della
nostra causa: in caso contrario ci ritroveremmo ad aver fatto, per limiti di
analisi politica, gli interessi dei nostri avversari.
Altrettanto è utile analizzare oggi nuovamente tutte le iniziative militari delle bande, alla luce degli avvenimenti successivi, degli effetti conseguenti e dell'esperienza acquisita, e non della coscienza che ne ebbero i protagonisti e degli obiettivi che essi si proponevano di conseguire con quelle iniziative. Questa analisi sarà una grande fonte di insegnamento sui meccanismi attraverso i quali la società borghese evolve e attraverso i quali la politica rivoluzionaria può farla evolvere.
Il successo della
nostra azione
Quali sono i risultati oggettivi raggiunti dalle bande in
alcuni anni di «propaganda armata», quali gli elementi nuovi da essi introdotti
nella società italiana?
***
La creazione
di un centro della lotta del proletariato per il potere
La lotta armata condotta dalle bande ha fatto risorgere in
Italia, per la classe dominante e per le masse, un centro della lotta del
proletariato per il potere.
Nel 1944 con la «svolta di Salerno» il PCI era entrato, in
posizione subordinata, in un sistema di alleanze e nello Stato della classe
dominante (la collaborazione nell'ambito dei CNL, dopo il 1943, era una
collaborazione tra forze combattenti e il PCI vi aveva l'egemonia).
Nel 1947 il PCI era stato estromesso dal governo del paese ed
aveva accettato l'estromissione; l'accettazione venne sanzionata e ribadita con
le elezioni del 1948.
Da allora in poi, l'azione del PCI si svolse nell'ambito
dell'accettazione del proprio ruolo di opposizione politica nel regime, che lo
Stato a sua volta riconosceva. La storia del passaggio dalla reciproca
accettazione dei distinti ruoli come un dato di fatto alla collaborazione è la
storia della politica italiana degli anni 50 e 60.
Dopo la conclusione della Resistenza e a causa dell'assetto
politico che si creò in Italia, cessò di esistere un reale centro della lotta
del proletariato per il potere, cioè un centro dotato dell'autonomia
d'iniziativa necessaria per rendere sistematico e organizzare a livello di lotta
politica il potenziale di antagonismo esistente tra le masse. Il PCI agiva
nell'ambito di limiti ben definiti, che sia il PCI che lo Stato conoscevano e
rispettavano; il PCI e le organizzazioni di massa connesse erano in condizioni
di libertà condizionata e vigilata, agivano nell'ambito delle leggi dello Stato
e in condizioni di dipendenza e ricattabilità da parte dello Stato. Era una
condizione che il gruppo dirigente del PCI aveva accettato, chi per convinzione,
chi per calcolo, chi per necessità e di cui tutti, compresa la sinistra più
sinistra del PCI era schiava (altro che le velleità di Secchia!). In questa
situazione il PCI stesso di conseguenza poneva tutti i limiti che si possono
porre istituzionalmente allo sviluppo dell'antagonismo tra le masse, perchè
l'antagonismo cresce oltre certi limiti elementari e primitivi solo se trova
terreno su cui esercitarsi e verificarsi. La volontà di combattere non cresce
oltre un livello elementare se non si traduce in combattimento e in vittorie.
I gruppi politici «rivoluzionari» sorti a partire dai primi
anni 60 non vollero o non seppero superare questa condizione. E' probabile del
resto che l'inizio di un nuovo corso richieda, perchè non sia stroncato sul
nascere e riesca ad impiantarsi e riprodursi, il concorso di una serie di
circostanze oggettive, sia più un'occasione da cogliere che una decisione
soggettiva. Detto in altre parole, per la «propaganda armata» occorrono
determinate circostanze che assicurino fin dall'inizio il seguito e il contesto
necessari per raggiungere il suo risultato.
E' solo con la nascita delle organizzazioni combattenti e in
particolare delle bande nell'ambito del grande movimento di massa a cavallo
degli anni 60 e 70 che venne superato il limite accettato dal PCI nel 1947. Il
successo e la continuità dell'azione delle bande stabilizzò la nuova situazione:
ci fu nuovamente un centro promotore ed organizzatore della lotta del
proletariato per il potere.
Negli anni 20 condizione determinante la costituzione del
PCd'I fu il suo legame con la Rivoluzione d'Ottobre e l'Internazionale
Comunista. Era questo legame che per le masse faceva la qualità del partito e lo
poneva ad un altro livello rispetto ai vari gruppi e organismi di sinistra. Non
a caso nel PCd'I la continuità del partito fu rappresentata da questo legame,
non dalla linea e i gruppi che ruppero con quel legame (Bordiga e C.) finirono
nel nulla.
E' il legame con la lotta armata, con la «propaganda armata»
ciò che oggi fa sì che le bande siano in condizioni di porsi come centro
promotore del nuovo partito comunista e della nuova direzione del movimento
delle masse.
***
E' indiscutibile per ogni proletario, d'accordo o no con le
bande, che esse sono un'altra cosa dal sistema di potere oggi dominante. La
coalizione di tutti i gruppi, gruppetti, partiti e partitini esistenti nel
paese, accumunati dalla reciproca tolleranza, dalla comune convivenza nel patto
costituzionale (che garantisce la sopravvivenza e le regole del gioco tra di
loro) e dalla comune prassi di deplorare quello che si continua a lasciare
avvenire e con cui si convive al punto che è impossibile distinguere la
deplorazione fatta per accaparrarsi voti dalla deplorazione sincera ancorchè
impotente, questa «Santa Alleanza» contro le bande ha creato delle grosse
difficoltà a queste a partire dal 1980, ma le ha consacrate come unico punto di
riferimento rivoluzionario per le masse del nostro paese.
La stasi, le defezioni, la crisi, la lunghezza del travaglio
del parto del partito non hanno ancora eliminato questo risultato raggiunto
nella fase della «propaganda armata». Contro la sua volontà e i suoi interessi,
la borghesia deve rafforzare continuamente questo nostro ruolo. Addebitando alle
bande tutto quanto di antagonista ad essa sorge tra le masse, distribuendo a
destra e a manca accuse di banda armata e di associazione sovversiva, rinnova
continuamente tra le masse il prestigio delle bande. Gli arresti, le scoperte di
sedi, ecc. nel contesto di una giusta linea che assicura la continuità
dell'organizzazione e il suo legame con le masse, non hanno mai fermato
un'organizzazione rivoluzionaria, anzi in molti casi ne hanno determinato lo
sviluppo (come hanno capito anche molti strateghi della controrivoluzione
preventiva che però ben poco possono fare al riguardo).
Tra le migliaia di partiti, organismi, associazioni, club,
proposte politiche, profezie e bei discorsi di cui pullula la società
imperialista, le bande si sono poste e ogni giorno vengono ancora poste come
qualcosa di unico e a sé stante, come centro promotore della lotta per il potere
del proletariato. Da qui tutto lo sforzo della borghesia e dei suoi alleati per
svuotare di valenza politica la lotta armata degli anni 70 e quindi vanificare
il risultato.
Da ciò consegue che le bande (e solo loro) sono oggi nelle
condizioni per costituire nuovamente un partito comunista.
Ogni altro gruppo che si ponesse questo compito
indipendentemente dalle bande, non potrebbe di fatto giovarsi dei risultati
della lotta armata degli anni 70, dovrebbe aprirsi una diversa via. E l'inizio,
che le bande ebbero nel contesto del grande movimento popolare degli anni 70,
dovrebbe giovarsi di altre circostanze che, come tutte le circostanze, gli
individui non possono determinare ma solo cogliere quando vi siano.
***
La scoperta
dell'efficacia e del ruolo della lotta armata come strumento di lotta
politica rivoluzionaria
In secondo luogo le bande, impugnando le armi e combattendo
per vari anni, hanno scoperto che un'organizzazione comunista poteva mandare a
monte progetti (come la «solidarietà nazionale») che mille dimostrazioni di
piazza non scalfivano, che poteva determinare un corso degli eventi che era
impossibile determinare senza questo strumento e che questo conferiva ad un
centro della rivoluzione proletaria ancora debole una capacità di iniziativa
politica che in nessun altro modo poteva avere.
Se l'effetto diretto della «propaganda armata» fu quello di
creare nuovamente un centro della lotta proletaria per il potere,
indirettamente, già nella fase della «propaganda armata», è venuto in luce il
ruolo fondamentale della lotta armata proletaria come strumento della lotta per
il potere, in una situazione non rivoluzionaria e quando non si hanno neppure le
condizioni per una «guerra dispiegata» (23). E'
stato cioè scoperto il ruolo della lotta armata proletaria in quella fase dello
sviluppo del movimento che potremmo chiamare fase di accumulazione delle forze
rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi.
Già negli anni 70 fu mostrato che il partito del
proletariato, intervenendo con la lotta armata in un processo politico di cui ha
compreso giustamente i termini, le tendenze, le contraddizioni, le forze motrici
e i gruppi in lotta, può entro certi limiti determinare la direzione in cui
evolverà la situazione o impedire che, tra le direzioni possibili, essa evolva
in quella più sfavorevole al proletariato.
Insomma si è scoperto che era possibile «colpire il cuore
dello Stato» ed impedire che le contraddizioni interne alla borghesia trovassero
un terreno di soluzione tale da creare una condizione di maggior forza per essa.
Si è scoperto che era possibile disarticolare, rendere
inoperante, neutralizzare per un certo tempo una struttura del potere nemico
particolarmente efficace, insidiosa e temibile nella sua azione di lungo termine
contro le forze rivoluzionarie.
Questo duplice ruolo della lotta armata proletaria venne
prima esercitato e solo dopo compreso. Venne cioè scoperto dalle bande al modo
in cui Cristoforo Colombo scoprì l'America e ancora non sono state comprese e
sfruttate tutte le conseguenze di questa scoperta.
***
Tutta la storia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni
nei paesi imperialisti nel corso di questo secolo mostra che il movimento
economico e politico della società porta periodicamente per la sua stessa natura
a situazioni di crisi acuta, di collasso del processo produttivo e di paralisi
dello Stato; ma mostra anche che queste situazioni contengono più soluzioni
possibili e che la borghesia ha riunito abbastanza risorse ed esperienza per
impedire che si arrivi a condizioni tali per cui la soluzione che si realizza
sia quella della presa del potere da parte del proletariato, per prevenire
insomma l'accumulazione delle forze rivoluzionarie oltre un limite critico.
E' la controrivoluzione preventiva come nuova arma della
borghesia nella fase storica della sua agonia. Infatti nel corso di questo
secolo nei paesi imperialisti dell'Europa Occidentale la regola è che la
borghesia ha sempre preso l'iniziativa in campo militare, stroncando in tempo
l'accumulazione delle forze rivoluzionarie, salvo poi ritornare alla «legalità»
quando il risultato era stato raggiunto.
Nell'Introduzione a Le lotte di classe in Francia
scritta nel 1895, Engels, che gli opportunisti a volte portano a sostegno delle
proprie tesi, indicava chiaramente che quando i regimi borghesi fossero arrivati
al punto da rompere i «patti» su cui si reggeva la democrazia borghese (e
assicurava che ci sarebbero arrivati), compito dei partiti proletari sarebbe
stato proseguire la loro strada con tutti i mezzi, senza lasciarsi legare le
mani dalla legalità borghese e dalla sottomissione allo Stato borghese. C'è
qualcuno, persino tra gli opportunisti, che può sostenere che anche uno solo
degli Stati borghesi d'Europa non ha dopo di allora «rotto i patti» della
democrazia borghese? E' almeno dall'inizio della 1° Guerra Mondiale che ciò è
avvenuto! Non c'è un paese imperialista in cui, nel periodo compreso tra
l'inizio del secolo e oggi, la borghesia non sia ricorsa ripetutamente ora a una
ora all'altra di queste misure: lo stato d'assedio, lo stato di guerra, le
misure d'emergenza, la mobilitazione militare, lo scioglimento delle
organizzazioni proletarie, il terrore delle forze armate di Stato o parastatali
contro i proletari e le loro organizzazioni, la eliminazione dei dirigenti
proletari, la corruzione dei dirigenti proletari, l'infiltrazione delle
organizzazioni proletarie, le provocazioni, la creazione di organizzazioni
parallele, le operazioni diversive di massa, lo spionaggio, le stragi e i
massacri, la intossicazione intenzionale e sistematica dell'opinione pubblica,
la creazione pianificata di organizzazioni diversive, i brogli elettorali, la
sovversione dei risultati elettorali, il boicottaggio e il ricatto economici.
Proprio per questo la «scoperta» delle bande è la
continuazione e lo sviluppo dei germi della nuova strategia, adeguata alle
condizioni della fase imperialista, che sia i partiti comunisti che il movimento
delle masse vennero sviluppando negli anni 20 e 30 di questo secolo. Nella
storia dell'epoca, in special modo in Italia, durante la guerra civile 1919-1922
e dopo, e in Germania la tendenza a porre stabilmente l'attività combattente tra
le proprie forme di lotta, è evidente sia nei partiti comunisti che nel
movimento delle masse.
La lotta armata come strumento per «colpire il cuore dello
Stato», quindi come strumento per mantenere aperte e intervenire attivamente
nelle contraddizioni della borghesia e come strumento per neutralizzare
temporaneamente strutture della controrivoluzione, restituisce al proletariato
l'iniziativa politica nella situazione propria delle società imperialiste, lo fa
uscire da una situazione di attesa e di ostaggio nelle mani della borghesia.
Nella fase imperialista, tutte le organizzazioni proletarie che nei periodi
«pacifici» hanno voluto contenere la propria azione nell'ambito della legalità
borghese o limitarsi alla difensiva, sono state o soffocate o travolte al
sopravvenire di un periodo non pacifico, di fronte al quale si sono trovate
impotenti.
La storia delle società imperialiste mostra che quando una
società si avvia alla paralisi, il vecchio regime non cade da sè: succede che
una parte della classe dominante si coalizza nel compito supremo di conservare
alla propria classe il predominio che viene eroso dalla paralisi avanzante;
sottopone con mezzi straordinari ad una nuova disciplina se stessa ed il resto
della classe dominante; sacrifica quanto necessario della proprietà e della
libertà di iniziativa degli altri gruppi; avoca a sè tutti i diritti di
proprietà e di iniziativa; prende tutte le necessarie misure per soffocare ed
eliminare quanto si oppone al suo obiettivo.
L'epoca dell'imperialismo è stata l'epoca delle esecuzioni
degli avversari politici, dei colpi di mano e degli stermini di massa non solo
nei paesi dipendenti, ma anche nel cuore della «civilissima Europa».
La lotta armata del proletariato è lo strumento necessario
per impedire che nel corso delle crisi economiche e politiche delle società
imperialiste prevalga questa evoluzione, per impedire il successo della parte
della borghesia che di volta in volta si assume il compito «rivoluzionario» di
salvare il potere della propria classe e schiacciare il proletariato.
La lotta armata proletaria avrà probabilmente il duplice
ruolo sopra indicato finchè l'evoluzione della situazione, determinatasi proprio
perchè il proletariato ha impedito lo sbocco controrivoluzionario e modificato
le condizioni a suo favore, consentirà di passare o all'«ultima e decisiva
battaglia per il potere» (la rivoluzione, l'insurrezione) o alla guerra
dispiegata. Non siamo oggi in grado di prevedere quale dei due eventi si
verificherà, perchè ciò dipende da circostanze oggi imprevedibili.
L'esplicazione di questo duplice ruolo della lotta armata
nella lotta del proletariato per il potere comporta che il partito abbia una
comprensione giusta e dettagliata dei processi politici in corso e quindi, a
differenza di quanto pensano i militaristi, comporta il predominio netto e
assoluto del politico sul militare nel partito e nel movimento proletario.
L'azione militare serve e deve essere solo in funzione di obiettivi politici.
Per sfruttare le grandi possibilità offerte dalla scoperta
della lotta armata nel suo duplice ruolo, occorre che impariamo a «suonare il
piano con dieci dita», che facciamo un salto avanti nella comprensione del
movimento politico, che ci allontaniamo mille miglia dalla prassi di quelli che
danno il titolo di «cuore dello Stato» ad ogni bersaglio che colpiscono. La
giustezza degli obiettivi della nostra iniziativa militare discende dalla
giustezza della nostra analisi della situazione politica e gli effetti pratici
conseguenti al successo della nostra iniziativa militare sono una verifica della
giustezza della nostra analisi politica.
***
Nella lotta del proletariato dei paesi imperialisti per il
potere, il duplice ruolo della lotta armata nella fase di accumulazione delle
forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze
borghesi, ruolo scoperto dall'azione delle bande, vale ovviamente per tutti i
paesi imperialisti perchè non è legato a particolarità nazionali del nostro
paese. Questo diventa quindi uno dei criteri con cui determinare i nostri
collegamenti internazionali, tenendo presente che l'inizio, come sopra detto, è
legato ad occasioni e situazioni politiche dei vari paesi.
Accanto a questo duplice ruolo della lotta armata nella fase
di accumulo delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte
delle forze borghesi, restano i ruoli che già si conoscevano (eliminazione di
spie e traditori, finanziamento ed equipaggiamento, in alcuni casi punizione
esemplare di nemici del popolo ed altre operazioni propagandistiche).
***
L'accelerazione del declino dei revisionisti
In terzo luogo le bande impugnando le armi hanno costretto i
revisionisti a rivelare il loro vero volto di questurini ben più di quanto vi
erano riusciti mille opuscoli.
Impugnando le armi li hanno costretti a schierarsi in modo
che altrimenti avrebbero vantaggiosamente evitato (da Minucci costretto a
schierarsi contro gli operai FIAT «fondo del barile raschiato», alla FULC
costretta ad abbandonare la denuncia delle «fabbriche della morte»). Essa ha
impedito che i revisionisti potessero ancora cavalcare le lotte rivendicative
delle masse, imbrigliando e vanificando in esse le energie creative delle masse.
Tali lotte e il contenere in esse il movimento popolare erano la forza e la
funzione dei revisionisti. Da quando la classe dominante non può più trarre
giovamento da questa loro opera, i revisionisti sono diventati ferrivecchi
inutili anche per la borghesia che non se ne può più servire e hanno perso anche
il suo sostegno.
Questo indebolisce ulteriormente l'azione di contenimento e
diversione delle energie rivoluzionarie del proletariato che risultava dalla
loro esistenza e attività. Fino a qualche anno fa chi iniziava a muoversi,
andava a iscriversi al PCI e lì per un tempo più o meno lungo si acquietava,
sforzandosi di esprimere nelle forme del PCI quello che lo aveva mosso e lo
muoveva. Ma ora che le sezioni chiudono, che l'articolata e variegata struttura
si ischeletrisce e quel che ne resta diventa elitaria, ora che la denuncia delle
condizioni dell'oppressione di classe e l'attività di organizzazione delle
rivendicazioni e delle proteste cessano (soffocate, oltre che dalla mancanza di
risultati, dal timore prodotto dalla costatazione che «se si denuncia la
fabbrica della morte, poi è inevitabile che qualcuno faccia fare a Taliercio la
fine che ha fatto»), quella via di espressione deviata della rivolta si chiude e
ogni proletario che oggi si sveglia alla rivolta deve cercare altre vie.
Oggi i revisionisti rifuggono dalle lotte rivendicative e
dalle proteste nel cui ambito contenevano l'energia di tanti proletari,
valorizzandola ed esaurendola. Negli anni 70 è stato dimostrato che le lotte
rivendicative, che sembravano essere solo un efficace diversivo dalla lotta
rivoluzionaria per il potere, sono invece state levatrici di coscienza politica
e di ribellione, il terreno su cui è rinata la lotta politica rivoluzionaria.
La parte maggiore delle risorse dei revisionisti e dei sindacati di regime oggi
è spesa, sempre più diffusamente e ossessivamente, per riuscire a controllare i
lavoratori. Contenere, controllare, riassorbire i COBAS, reprimerli nella misura
a ciò necessaria, introdurre codici di autoregolamentazione, mantenere il
monopolio della rappresentanza e della contrattazione, moderare le richieste e
renderle compatibili: questa è la loro occupazione principale. E' poca cosa che
da alcuni anni i revisionisti debbano costantemente guardarsi le spalle da
iniziative di base e preoccuparsi di sedare le lotte anzichè porsi come
promotori e organizzatori di esse?
Questo li indebolisce, come già oggi è chiaro persino
nonostante l'assenza del movimento rivoluzionario sul terreno delle lotte
rivendicative e dell'orientamento della protesta delle masse. Questo apre un
terreno importante d'azione per il movimento rivoluzionario. Coltivare questo
terreno è una questione di resistenza e di vita del partito, oltre che un
aspetto necessario del suo carattere di classe.
L'azione combattente delle bande, combinandosi con la fine
del progetto di costruire una società del benessere, ha decretato la fine del
ruolo che i revisionisti avevano svolto nel regime.
E' probabile che l'esecuzione di questa sentenza comporti
anche il ridimensionamento elettorale del PCI, i cui voti sono ancora in buona
parte «voti di speranza in una società diversa» e quindi destinati a venir meno
assieme alla speranza e a rifluire, almeno provvisoriamente, in voti di
clientela, voti di intimidazione, voti di superstizione e d'ignoranza
(24).
***
La
creazione di una nuova leva di rivoluzionari
L'azione delle bande ha innescato la formazione di una nuova
leva di rivoluzionari che si tempra nell'attuale situazione, che si verifica,
che passa il suo esame ora, con molte bocciature è vero, ma con una selezione
che è indispensabile e che produce compagni che crescono autocriticandosi e
riorganizzandosi al livello della nuova situazione. Il limite posto in luce
dall'esame non è colpa dell'esame. E' un'ottima cosa che, essendoci il limite,
l'esame lo faccia venire alla luce. L'esperienza della lotta armata, come ha
istupidito ed abbattuto alcuni, ha educato e temprato altri. Le bande sono
rimaste l'unico meccanismo che il proletariato ha a sua disposizione per
selezionare nuovi quadri dirigenti di classe, cioè per riconquistare la sua
indipendenza ed autonomia politica.
Un compagno che oggi impara ad usare la stampa clandestina, a
farla circolare, a nasconderla, a beffare la polizia ufficiale e quella
ausiliaria del PCI e dei gruppi, vale più di mille ciarlatani preparati dalla
FGCI e dal PCI.
Così è per il compagno che riesce a portare un'assemblea di
lavoratori a perseguire la propria rivendicazione nonostante la volontà dei ras
sindacali; il compagno che riesce a condurre la lotta contro l'opportunismo di
gruppi e gruppuscoli ed a propagandare i principi della lotta politica
rivoluzionaria in forma opportunamente mascherata; il compagno che sa maneggiare
le armi; il compagno che impara a mantenere un rapporto di partito nella più
assoluta clandestinità: tutti «tipi» di compagni di cui il nuovo corso ha
avviato la formazione.
La formazione degli uomini è certamente il lavoro più
difficile ma anche il più prezioso. Dedicare a questo lavoro le energie
necessarie fa parte dell'autocritica attuale della bande che, quasi come il
resto delle organizzazioni combattenti, si sono per anni limitate a unire e
inquadrare gli uomini che spontaneamente si ponevano sul terreno rivoluzionario,
crescendo quindi di quanto la situazione spontaneamente produceva e subendo le
conseguenze quando il movimento delle masse è entrato in una fase di riflusso.
***
Un
limite alla demoralizzazione tra le masse
La nascita e l'attività delle bande hanno fatto sì che il
riflusso del movimento di massa e la sua sconfitta sul piano dei suoi obiettivi
rivendicativi non si risolvessero in una completa e prolungata demoralizzazione.
La lotta degli anni 70 non è stata inutile perchè ha prodotto
un'esperienza che continua e si sviluppa nelle bande. Le sconfitte degli anni 80
non sono definitive, nel senso in cui una sconfitta del proletariato in
quest'epoca può essere definitiva, nel senso cioè di una rottura nel
trasferimento e nella crescita dell'esperienza (una sconfitta definitiva fu
quella della Resistenza antifascista), perchè il germe che allora si è formato è
ancora vivo. Ben lo sanno gli strateghi dell'«antiterrorismo» e i loro nuovi
accoliti della «soluzione politica». Questo è un potente strumento di sostegno
e di forza per tutto il movimento delle masse che dispiegherà tutta la sua
efficacia se e quando le bande completeranno l'attuale, lungo e doloroso
travaglio della gestazione del partito.
Sfruttare i successi conseguiti
E' forse «colpa» della «propaganda armata» se il terreno
creato dal suo successo non viene fatto fruttare? Se le bande si attardano a
fare «propaganda armata» quando essa, come contenuto principale della loro
attività, ha già dato tutto quanto poteva dare e oramai può svolgere un ruolo
utile solo come attività marginale?
Possiamo anche continuare a «tirar giù» un Ruffilli o un
Giorgieri all'anno, magari con qualche sforzo anche uno al mese e ogni volta più
che giustamente mostrare nella rivendicazione che essi avevano un ruolo
importante nella ridefinizione reazionaria della società, nel traffico d'armi,
nella militarizzazione della società.
Ma se la nostra attività si limita a questo, cosa otteniamo
con un Ruffilli o un Giorgieri al mese? Di impedire la collaborazione diretta di
professori e ricercatori universitari con i gruppi dirigenti dei partiti? Di
distogliere i generali dal traffico d'armi?
La «propaganda armata» non è un talismano, un sortilegio. E'
una chiave che apre una porta. Ma una porta si apre per andare avanti e non
serve continuare a girare la chiave!
La «propaganda armata» ha raggiunto pienamente il risultato
che con essa ci si poteva ragionevolmente riproporre. Ha insomma sgombrato il
terreno dagli equivoci che intralciavano ogni effettiva avanzata nel senso
rivoluzionario.
***
E' evidente che le sconfitte subite dalle bande (lo
smantellamento di larga parte delle strutture, il tradimento e la defezione di
gran numero di arrestati, la messa in forse della continuità delle bande, della
loro riproduzione) sono dovute ai limiti ed errori di concezione e di
impostazione delle bande stesse, ai vizi d'origine conservati caparbiamente,
alle malattie dovute al contesto non ancora superato, da cui hanno avuto
origine. Per cui tutto oggi si riassume nel dilemma se riusciremo o no a
superare i nostri limiti ed errori.
Questo mette fuori gioco chi vuole ricominciare da capo,
vuole ripartire a fare come facevamo nel '68, come individui o gruppi nel
movimento di massa. Ovvio che lasciar perdere i risultati raggiunti e ritornare
da capo è più semplice, si può evitare di risolvere tutti i problemi che invece
si devono risolvere per passare dalle bande, che hanno fatto «propaganda armata»
e che con questo hanno sgomberato il terreno per la formazione del partito
rivoluzionario, al partito rivoluzionario che, libero a questo punto da ogni
accordo e ogni regola del gioco con la classe dominante, dirige le masse
proletarie nell'accumulazione delle forze rivoluzionarie per la conquista del
potere «suonando il piano con dieci dita». Ma ciò è appunto rifuggire dai
compiti posti dalla storia già percorsa, è liquidazione dell'organizzazione e
dell'attività rivoluzionaria.
***
Le bande hanno finalmente rotto nel movimento operaio
italiano la tradizione della sinistra che promuoveva, organizzava, gestiva lotte
rivendicative e di protesta, diffondeva la propria cultura (propaganda politica
e iniziative culturali), creava le organizzazioni confacenti a questi compiti e
supponeva che tutto ciò, giunto ad un certo (imprecisato) punto di sviluppo e in
congiunzione con certe circostanze, si sarebbe non si sa come trasformato in
insurrezione per la conquista del potere, senza che la borghesia movesse un dito
per impedire che si arrivasse a quel punto.
Questa era stata la linea del PSI. Fu quella prevalente nel
PCd'I tra le due guerre nonostante un gran numero di spunti e tentativi di
rompere con questa tradizione prodotti dalla confluenza di tendenze interne con
la pratica e l'esperienza della 3° Internazionale e della guerra di Spagna.
Negli anni 20 e nei primi anni 30 il corpo e la direzione del PCd'I sono
percorsi da tendenze e tentativi di sviluppare un'attività combattente di
partito e di massa che però furono soffocate dalla confluenza dell'opposizione
«di sinistra» che avversava una linea di massa su questo terreno (tipico il
sabotaggio del movimento degli «Arditi del popolo») con l'opposizione di destra
che avversava l'attività combattente in generale. Mentre i protagonisti dei
tentativi di attività militare a loro volta non arrivano mai a dare ad essi
l'organicità di una linea basata su un'analisi del movimento economico e
politico della società borghese nella fase imperialista.
Durante la Resistenza la linea del PCI non fu dissimile,
anche se a causa delle circostanze si pose prevalentemente sul piano militare.
Il PCI non si mosse mai complessivamente ed organicamente come partito che
lottava per conquistare il potere per il proletariato. Si pose sempre come
partito che lottava per estendere a settori più ampi della popolazione i diritti
sanciti dalla democrazia borghese, per il ristabilimento delle istituzioni della
democrazia borghese, per l'uguaglianza politica ed il miglioramento delle
condizioni di vita. E man mano che questa linea si rivelava impotente e questa
strada impercorribile, abbandonava uno ad uno i suoi obiettivi, riduceva passo
dopo passo le sue richieste.
Dopo il 25 aprile '45 la linea ufficiale del PCI fino
all'ottavo congresso (1956) e delle sue correnti di sinistra fino a noi (meglio,
fino a Cossutta) fu una versione farsesca della «linea insurrezionalista», ed è
questa versione che vari compagni del movimento rivoluzionario e vari personaggi
di altri movimenti criticano come «linea insurrezionalista della 3°
Internazionale», in una combinazione di ignoranza e di calcolo.
Il PCI non ebbe insomma mai una linea militare, una linea che
anche in campo militare raccogliesse, rendesse organico e sistematico ed
elevasse al livello di strumento di lotta politica quanto spuntava tra le masse
e quindi ne favorisse lo sviluppo.
La linea di tutte le opposizioni di sinistra (i gruppi) a
cavallo tra gli anni 60 e gli anni 70 fu simile a quella del PCI.
I gruppi, nei casi migliori, in questo come in altri campi
cercarono di rompere con gli sviluppi ultimi del revisionismo del
PCI, non con l'impianto generale. Del resto questo era inevitabile dato che
essi, nonostante tutti i rigori di linea organizzativa adottati, non si
elevarono mai molto al di sopra della condizione di organizzazioni di massa, non
riflettevano la coscienza d'avanguardia, ma riflettevano (sia pur
estremizzandola) la coscienza comune, diffusa del movimento di massa ed erano
guidati da questa coscienza comune che inevitabilmente era una combinazione
variegata ed instabile di elementi dell'esperienza diretta e di elementi della
cultura della classe dominante.
Essi furono quasi unicamente movimenti pratici e cessarono di
esistere, senza bisogno di una specifica azione per eliminarli, quando rifluì il
movimento di massa che li aveva prodotti. Le conquiste economico-pratiche e di
costume cui essi avevano contribuito, vengono via via eliminate dall'avanzare
della crisi economica e dalla conseguente ristrutturazione della società (il
lamentato «imbarbarimento») e di esse non rimase nulla che passasse al futuro.
Cosa è rimasto delle loro analisi? In cosa hanno portato avanti il patrimonio
teorico, conoscitivo, il bagaglio d'esperienze del movimento operaio italiano?
Cosa è rimasto dei loro metodi d'azione?
La scomparsa dalla scena politica e la dissociazione dalla
lotta di classe degli uomini che ne fecero parte, oltre che rispondere in una
certa misura alla composizione di classe dei gruppi
(25), rispecchiò la loro natura di organizzazioni di massa: quando
un'iniziativa di massa cessa senza aver raggiunto i suoi obiettivi, i suoi
protagonisti tornano alle loro normali abitudini.
La «propaganda armata» introdusse nel movimento operaio e
popolare italiano un'esperienza pratica nuova. Le lotte rivendicative, le
occupazioni di fabbriche, di case e di luoghi pubblici, le dimostrazioni di
piazza, i servizi d'ordine, gli scontri di piazza e tutte le altre forme assunte
dal movimento di quegli anni, erano forme già note, già appartenenti
all'esperienza del movimento operaio e popolare del nostro paese e molte di esse
non raggiunsero in quegli anni l'ampiezza e l'intensità che avevano raggiunto in
altri periodi.
Ciò che fu innovativo fu la «propaganda armata»,
un'organizzazione comunista che ponesse programmaticamente la lotta armata come
strumento dell'azione politica propria e delle masse. Per la prima volta ciò
entrò e riuscì a mettere radici nel movimento operaio e popolare italiano.
Diventò una nuova realtà. Le bande quindi costituiscono il compimento finalmente
raggiunto delle tendenze, dei tentativi e delle aspirazioni ad adeguare la
strategia proletaria alle condizioni politiche della fase imperialista presenti
nella storia della 3° Internazionale dalla sua fondazione.
***
La generalizzazione del reato di «banda armata» e di
«associazione sovversiva» è l'indice del nostro successo. Siamo riusciti a
costituire un centro della lotta del proletariato per il potere. Ad esso vengono
addebitati tutti i reati politici, tutti i tentativi (veri o presunti) di
sovversione dell'ordine borghese. Tutto ciò che nel proletariato si muove in
contrasto con l'ordine borghese viene fatto risalire alle bande, e ciò è un
esempio di come anche i movimenti dell'avversario portino acqua al nostro
mulino, quando il nostro mulino macina nel senso del movimento oggettivo.
Siamo riusciti ad agganciare il nemico e portarlo sul nostro
terreno. Il proletariato ha ripreso in mano l'iniziativa in campo politico.
C'era una società in cui la lotta politica era diventata
politica-spettacolo; contemporaneamente la base della società viveva un
contrasto antagonista di interessi che restava fuori dalla politica e a quel
livello si consumavano le peggiori nefandezze. Ebbene noi siamo riusciti a
rompere quella finzione di lotta politica e a far diventare lotta politica
quello scontro antagonista di interessi che si svolge alla base della società. O
meglio, siamo riusciti a rompere quella finzione di lotta politica e abbiamo
gettato il seme perchè lo scontro di interessi antagonisti che si svolge alla
base della società diventi lotta politica, lotta per il potere. Si è creata una
situazione in cui per qualunque proletario che si affaccia alla lotta e
incomincia a concepire l'emancipazione della propria classe, il problema si pone
nei termini: aderire alle bande o lasciar perdere e rassegnarsi?